"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior"

"Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior".
F.De Andrè

Sahara

Sahara
Sahara

venerdì 31 dicembre 2010

Lettere di Fernando L.

Nel pomeriggio di questo ultimo dell'anno, rovistando nella soffitta della casa dei miei genitori, ho ritrovato le lettere che questo mio compagno di leva, trasferito da Lecce a Potenza, mi ha scritto nel lontano 1980, trenta anni fa.
Sono bellissime, mi danno una emozione incredibile, e vado a pubblicarle con gioia sperando di reincontrarlo un giorno

Lettera 1 di Fernando L. - Potenza 14 Maggio 1980

Caro amico ti scrivo, "non" per distrarmi un po, perchè tu sai ed io so, che la distrazione va bene per gli "uomini" stanchi del loro tempo, va bene per chi non ha la fantasia e soffre del peso incontenibile dell'avvicendarsi armonioso dell'alba e del tramonto.
Certo, anche alcune nostre fisime possono incrinare la nostra freschezza fisica e mentale, ma noi sappiamo e sapremo correre i rischi sfuggendo al peso dell'eterno ritorno dell'eguale, inventando giorno per giorno la ricerca del nuovo sentire e sentirsi vivere.
Oggi conta esserci; diversamente la storia, che pure cammina sulle gambe degli uomini, continuerà a scorrerci davanti.
Dobbiamo, se ancora qualche dubbio ci assale, diventare finalmente protagonisti ed in pieno accordo con te lo dico innanzitutto verso noi stessi, ma anche verso le rimanenti cose che sono tante!
Le contraddizioni ed i compromessi non devono farci paura, perchè, se sapremo usarli in modo intelligente ed anche, consentimelo, in modo strategico, riusciranno ad esssere produttivi e non per questo diventeremo incoerenti, perchè la sola possibile coerenza non consiste nel rimanere ortodossamente e caparbiamente fedeli a certi principi che potrebbero determinare tragedie di uomoni e di cose (Stalin, Robespierre); consiste invece nell'essere pienamente realisti stracciando i veli che ricoprono la realtà. Ipse dixit, nonstante la prolissità.
Porgi, o caro amico, i miei saluti di fraterno affetto a Giovanni, e digli di smetterla una buona volta di scroccare il prossimo; digli che la sua ragazza non è tutto, e che vi è una donna chiamata "vita" che tutti ci comprende. Ai compagni un pò avvinazzati Mario e Roberto porgi il mio più sincero abbraccio affinchè ritorni lo spirito di lotta che oggi nei loro corpi e nei loro cervelli giace come un grande braciere infuocato, coprto però da un sottile strato di cenere.
Marco parla tu!
Invoca la borea, la pietra dura o la grande anima, ma fa che i loro cuori riprendano il battito della lotta. Ispirali! Ispira loro l'ardore per la grande causa, per la grande idea, che sono insieme la causa e l'idea di noi tutti.
Rendi poi a Giuseppe i miei più cari auguri e la mia più sentita speranza affinchè egli non continui a rompere le palle. A lui dì che si può migliorare anche senza essere troppo rompicoglioni. Tienitelo vicino e ridi e piangi quando egli ride e piange. Augura buona fortuna a Pallotta, Montano, De Masi, Campana, Santoiemma, Cipparano e gli altri, se ancora la distanza non vi divide.
A te infine ricordo che - altre ali fuggiranno dalla paglia della cova, perchè lungo il perire dei tempi, l'alba è nuova, è nuova!-
Non disperare mai, perchè ricorda: - non ci sono situazioni disperate, ci sono uomini disperati -, e quando entreremo in quell'altra società, anche il caldo ed il freddo li sentiremo in modo diverso.
Adesso caro amico devo lasciarti, perchè - è fatto giorno, i galli cantano e le lepri si sono ritirate, ritorna la faccia di mia madre al focolare-.
Ti abbraccio
Fernando

Lettera 2 di Fernando L.

Caro Marco
la quiete o la tempesta, il caldo o il freddo, i movimenti o gli orientamenti, le incazzature o i sorrisi non contano, se si resta in disparte non contano.
C'è bisogno di chiarezza fino allo schematismo, c'è bisogno di presenza fino a rimetterci di persona.
La lotta per la vita è aspra e la si ingaggia a tutti i livelli; così può accadere che il braccio del fratello si scagli contro il fratello e lo uccida.
A che serve, Marco guardare negli occhi sbarrati una bella donna se poi non se ne può gustare il corpo, la dolcezza delle labbra, la dolce violenza dell'amplesso.
Ma c'è chi dice che esiste anche la gioia del solo osservare; la contemplazione e l'interiorizzazione dell'alterità, dice qualcuno, sono proprie di una sensibilità di cui certi uomini sono dotati e ciò li riempie di vita, li smaterializza attraverso un rapporto mediato dalle capacità del sentire per il sentire.
Fido dell'astrattezza e della insulsa genuinità di certe intuizioni.
La vita è qui, senza troppe dialettiche, è assurda, è strana, ma non è casualistica.
E' materia, è amplesso, è vita che da vita, è gambe e braccia, è sopraffazione e repressione, è rivolta e riscatto.
Le nuvole passono anche comparire e scomparire, e così la notte, il giorno, ma una mela è una mela, un fucile è un fucile, e quando spari o mangi non trovi il tempo per smaterializzarne il contenuto.
La terra è avara ed i contadini sono sul lastrico; gli operai sono minacciati di licenziamento e i cancelli si chiudono senza evitare e stritolando i corpi.
Ti saluto a pugni chiusi.
Ogni passo è vittoria e ci aspetta il domani.
Fernando

lunedì 27 dicembre 2010

domenica 26 dicembre 2010

Imagine - Herbie Hancock Heartbreaker Rolling Stones

Imagine - Herbie Hancock musica e video

Doo Doo Doo Doo Doo (Heartbreaker) - Rolling Stones musica e video

Trofeo S.Stefano - Carlo Lorenzini

Dopo la sbornia post maratonica si ricomincia.
E si ricomincia con questa classica che l'anno scorso fu disputata dallo stadio Ridolfi fino alla collina di Fiesole.
Bellissimo percorso: P.Duomo, P.S.Firenze, S.Niccolò, Piazzale Michelangelo, Pian dei giullari, Poggio Imperiale, Viale Galilei, Porta Romana, Via Romana, Piazza Pitti, Ponte S.Trinita, Sotto la galleria Vasariana, S.Croce, P.Signoria, Via Calzaiuoli, P. Duomo, Palazzo Medici Riccardi e arrivo in Piazza del Mercato Centrale.
Si chiama Trofeo Carlo Lorenzini, perche proprio qui pare sia nato Collodi per poi trasferirsi a Castello, dove visse e scrisse le sue opere tra cui spiccano le famose Avventure di Pinocchio.
Collodi era soltanto lo pseudonimo usato dallo scrittore, che corrispondeva al luogo di nascita della madre. Sarebbe un po come dire che io, per non farmi identificare mi firmo come "Reggello", perche è li che è nata mia madre.
http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Collodi
Tornando alla prestazione, la forma se n'è un po andata, ma lo spirito è sempre buono
13,35km in 1h1'58" a 4:38 con un dislivello di 205m va anche bene, ma si può fare di meglio.

Trofeo S.Stefano per margensi in Garmin Connect - Dettagli

Ma il bello è anche ritrovare tutti i volti conosciuti che condividono conme questa passione.
Ed ecco Daniele, la mia anima podistica, il cuore dell'Atletica Castello, che sempre mi incoraggia, accompagnato dall'inseparabile Riccardo, che incredibilmente anche oggi si è lanciato nella gara Competitiva. Tra le persone vedo spuntare Andrea, il mio collega che ha vinto una cena da ZA ZA a sorteggo, e Stefano F. che si lamenta di averla fatta in 54' e di essere arrivato soltanto 63° assoluto. Beato lui! Tutti indicano con segno di ammirazione il vincitore della gara Said, che se ne sta tranquillo a parlare con El Ghizlani. Io mi sento al centro della piazza mentre parlo con lo zio Giuliano e con mio cugino Stefano M., che, rimosso l'incubo psicologico della ginocchite, che conosco molto bene, ha fatto una eccellente prestazione concludendo in 1h08" che corrisponde ad averla fatta a 5:05 circa.
Parliamo dei prossimi progetti, di andare in Danimarca in bicicletta, e di mio babbo, che rispetto a Mercoledì scorso sta molto meglio.
Ho intravisto anche Lorenzo, che il prossimo anno sarà biancoverde, ed anche Enzo, che ha corso la non competitiva insieme a sua moglie ed a suo cognato.
Chi mi ha bruciato salendo il Piazzale MIchelangelo sono stati in sequenza Alessio, mio caro collega, e Stefano L., atleti con i quali spesso ci eguagliamo, ma che oggi mi hanno lasciato nettamente indietro.
Ma fa un po freddo, bevo un the, ed ho paura di ghiacciarmi, perciò mi congedo dalla corsa e torno a casa pensando ai miei figli, perchè vorrei riuscire ad aiutarli al meglio nei loro momenti difficili, perchè i loro momenti difficili sono anche i miei.

venerdì 24 dicembre 2010

BARONES SA TIRANNIA

Scritta nel 1796, di seguito il testo


Procurade de moderare


Procurad'e moderar Barones, sa tirannia
Chi si no, pro vida mia, Torrades a pés in terra
Decrarada est giaj sa gherra Contra de sa prepotentzia
Incomintzat sa passentzia In su pobulu a mancare

Mirade ch'est pesende Contra de bois su fogu
Mirade chi no est giogu Chi sa cosa andat 'e veras
Mirade chi sas aeras Minetan su temporale
Zente cunsizzada male Iscurtade sa 'oghe mia

No apprettedas s'isprone A su poveru ronzinu,
Si no in mesu caminu S'arrempellat appuradu;
Mizzi ch'es tantu cansadu E non 'nde podet piusu;
Finalmente a fundu in susu S'imbastu 'nd 'hat a bettare.

Su pobulu chi in profundu Letargu fit sepultadu
Finalmente despertadu S'abbizzat ch 'est in cadena,
Ch'istat suffrende sa pena De s'indolenzia antiga:
Feudu, legge inimiga A bona filosofia!
...
Custa, populos, est s'ora D'estirpare sos abusos
A terra sos malos usos A terra su dispotismu
Gherra, gherra a s'egoismu E gherra a sos oppressores
Custos tirannos minores Est pretzisu umiliare




Traduzione: Fate in modo di moderare

Baroni (proprietari terrieri), cercate di moderare la vostra tirannia,
Altrimenti, a costo della mia vita, tornerete nella polvere (per terra),
La guerra contro la prepotenza è stata già dichiarata
e nel popolo la pazienza inizia a mancare

State attenti perché contro di voi si sta levando il fuoco,
Attenti perché non è un gioco, se questo inizia per davvero
Guardate che le nubi preannunciano il temporale
Gente consigliata male ascoltate la mia voce

Non continuate ad usare lo sprone sul povero ronzino,
o in mezzo al cammino si ribellerà imbizzarrito;
è così stanco e malandato da non poterne più,
e finalmente dovrà rovesciare il basto e il cavaliere.

Il popolo sardo che era caduto in un profondo letargo
Finalmente anche se disperato si accorge di essere schiavo
Sente che sta soffrendo solo a causa dell'antica indolenza
Feudo, legge nemica di ogni buona filosofia!
...
Questa, o popolo sardo, è l'ora di eliminare gli abusi
Abbasso le abitudini nefaste, contro ogni dispotismo
Guerra, guerra all'egoismo e guerra agli oppressori
È importante che questi piccoli tiranni vengano vinti.

sabato 18 dicembre 2010

18 Dicembre 2010 - Neve a Firenze

18/12/2010 - Villa Pietraia - Firenze


In queste occasioni ognuno sfoggia la propria capacità di affrontare il gelo e la propria attrezzatura per la neve. 
Ho visto una famiglia di nordafricani tirare uno slittino su per Monte Morello. 
Ho visto una figlia quarantenne partire slittando intraversata con la "croma" e rischiare la vita per accompagnare la  madre anziana al cimitero. 
Ho visto gente con abbigliamenti tecnici perfetti, tutti della marca : "Gli fa una sega l'acqua all'uomo ragno".
Ho visto le strade senza auto e la gente che ha riscoperto il senso delle distanze andando a piedi verso le proprie destinazioni. 
Ho visto anche chi aveva le catene a bordo e chi non le aveva.
Ho visto un portatore di pizze di colore in motorino nel ghiaccio e nella tormenta. Io la pizza a casa non la ordino più, non voglio alimentare questo mercato squallido di gente sfruttata e senza garanzie.
Mi vergogno un po a scrivere che il pensiero più significativo che mi è venuto in mente  quando ho visto ieri mattina in giro per le strade innevate ben due simpatici Husky che giocavano felici, è stato: " ma fino ad oggi li hanno tenuti in frigorifero?"

venerdì 17 dicembre 2010

domenica 12 dicembre 2010

IO, COVERCIANO, LA FIORENTINA

Io, Coverciano, la Fiorentina.


Io, tifoso viola ho sempre con me e mi accompagna, quella sensazione, quel retrogusto di non essere uguale ai tifosi delle altre squadre.

Ho dentro di me quella strana sensazione di avere una specie di peccato originale.

Non credo che tifosi viola si nasca, ma sicuramente a Firenze si nasce. Quando si nasce a Firenze si respira fin da piccoli la Fiorentina.

Lo si fa attraverso una rete mediatica diffusa che parte dagli uomini nei bar, attraverso le donne al supermercato che parlano, attraverso i trippai, gli ortolani, i falegnami nelle botteghe, per finire nelle scuole.

Riflettendo sul fenomeno, sono riuscito ad individuare due motivi fondamentali.

Il primo è che in una società conforme e conformista, dove ogni cosa mal si adatta a persone di diverso sesso e diversa età, la Fiorentina fa sentire vicini nonni, nipoti, genitori e parenti.
E’ un tavolo comune di dialogo e identità tra generazioni; “da quando io ero ancora giovane” tutto è cambiato, ma Lei no. Lei è sempre lì e nei nostri cuori.
Ed è meraviglioso vedere coppie di anziani allo stadio tutti vestiti di viola che ad un goal segnato dalla Squadra abbracciano uno sconosciuto accanto a loro che ha cinquant’anni di meno, o zie con le nipoti con tanto di abbonamento in curva Fiesole.

La seconda è la seguente. Credo che il tifo viola sia uno dei pochi punti di riferimento per noi fiorentni. La città, e non solo il centro storico, non ci appartengono più da anni, essi appartengono a tutto il mondo. Possiamo passeggiare nel quadrilatero Romano per ore senza sentire una “Maremma Maiala”. Ci possiamo vantare di Firenze, delle sue bellezze, ma non è più nostra. Forse l’unico posto di Firenze dove possiamo trovarci tutti Fiorentini è lo stadio. Tutti lì, a dimostrare che oltre ai monumenti esiste anche una fiorentinità, la stessa che ha abolito per prima nel mondo la pena di morte, la stessa che ha ispirato il sommo poeta a scrivere la Commedia, la stessa che ha mosso i grandi viaggiatori che hanno dato nome alla America (da Amerigo Vespucci), e quella che ha dato vita al Rinascimento, allo sviluppo dell’uomo ed alla sua libertà.
Girolamo Savonarola, il frate padovano benedettino che tanto si oppose alla libertà dei costumi nella Firenze che portava il suo novello messaggio al mondo, alla fine fu messo al rogo in Piazza della Signoria. Deprecabile gesto, per carità, niente al mondo potrà mai giustificare tale reazione, ma da un altro punto di vista forse un motivo più profondo ci sarà sicuramente.

Io sono nato a Firenze, e per la precisione a Ponte alla Badia, sul Mugnone in fondo alla via Roccettini ed in fondo alla Via Salviati nel 1959. Dopo qualche mese c’è stato il trasferimento a a Coverciano che io non ricordo. Ricordo però che durante il boom demografico ed economico, nell’abbandono delle campagne e nell’affollamento delle nuove periferie, chi non andava ad abitare in un comdominio era un po’ “bischero” . Tutt’oggi, che abito da vent’anni quasi a Sesto Fiorentino, a chi mi chiede di dove sono, rispondo “di Coverciano”. Dalla finesta della mia camera all’ultimo piano ho sempre visto, le bellissime colline di Fiesole e di Settignano, il monte Ceceri da dove il genio di Leonardo tentò il volo, e la collina di Montebeni che si degrada fino alla Rocca Tedalda sull’Arno Dall’altra parte, tutta sulla sinistra, un po’ defilata, la Torre di Maratona. I pomeriggi passati davanti ai quaderni macchiati di inchiostro a leggere per ore sul libro di testo la stessa riga con il pensiero lontano. Il sole al tramonto sembra dirmi: “Oggi c’è la bandiera sulla torre di Maratona, si gioca in casa”.
Dopo poco, equidistante da casa mia, sotto la collina di Settignano, il Centro tecnico Federale di Coverciano. Bellissimo, Impenetrabile.
Noi, anni 60, ragazzi di periferia, fuori a giocare sui sassi, e là dentro il paradiso. La dentro si sarebbe allenata la Nazionale Italiana. Mai una concessione fu fatta a noi popolo ospitante il futuro tempio del calcio, mai ci fu permesso di vedere, di visitare. Tutto chiuso, tutto impossibile.
Ma un giorno d’estate, in vacanza, buttati senza scopo per le strade polverose senza far niente, durante un giro che non ricordo bene, un buco nella rete lo trovammo. Fu così che ci organizzammo per il pomeriggio: Pallone , acqua etc.
Appena entrati nella rete, si aprì davanti a noi un meraviglioso campo di moquette verde (nel ‘70!), e poi, più in là tanti campi bellissimi in erba, piscine, tennis….., un sogno. Palla al centro, silenzio e partita. Ricordo bene il solo rumore del fiatone e dei calci al pallone, e non una parola per non farsi sentire. Il sogno fu puntualmente interrotto dal guardiano che urlando ci rincorse brandendo qualcosa con la mano che non ricordo. Rapidamente , anzi istantaneamente, con il cuore in gola e tanta paura, dovemmo abbandonare l’incursione.
Rivendico con orgoglio che io, anche se solo un quarto d’ora, sul campo di moquette ci ho giocato.
La prima cosa che mi viene in mente guardando ovviamente da fuori il Centro Tecnico di Coverciano, è con improbabile lucidità il ricordo di Mexico 70, la preparazione ed il ritiro. Un’aria magica, la caccia agli autografi di Gigi Riva, Domenghini, Albertosi, De Sisti, Rivera e Mazzola; spiavamo i nostri campioni, facevamo una caccia spietata agli autografi peraltro quasi impossibili da ottenere. In quei giorni c’era grande fermento a Coverciano, mio cugino si era comprato il motorino da cross ed anche gli accessi al centro erano diventati possibili in certi momenti. Si respirava un’aria magica per noi ragazzi di periferia ed io figlio di operaio tipografo capofamiglia con sei persone a carico vivevo l’illusione di quel mondo. C’era questo divario a Coverciano, e lo si sentiva, ci ha formato, ci siamo cresciuti consapevoli di essere la parte povera di quella società. Con il tempo questa cosa si è sempre più radicata: da una parte il mondo del calcio, con i suoi sfarzi, con le sue esagerazioni, con gli sciacalli e con gli imprenditori che edificavano laddove c'era danaro, dall’altra le case popolari di via Domenico Maria Manni ed il quartiere operaio. I danni maggiori si sono avuti dai contatti tra questi due mondi, e parlo con il nodo alla gola di ragazzi che hanno perso l’occasione di cogliere il fiore dei propri anni migliori. Loro non lo sapevano gestire il mondo dei ricchi, loro non dovevano credere aquella illusione, non erano stati formati dall anascita come gli altri.
L'avvento dei ricchi a Coverciano portò pochissimi vantaggi all'economia degli abitanti, perchè loro si portarono dietro il loro indotto, peraltro già ricco. Credo sia in tempi e modi diversi quello che succede nella Costa Smeralda in Sardegna.

Quando ho potuto scegliere, ho scelto di andare via da Coverciano, ed altri ragazzi come me lo hanno fatto. Tutti invidiano chi abita a Coverciano, ma io no, io so e sono altrettanto sicuro che se per caso ne usciranno illesi, sicuramente se ne andranno.

Se io, in un ipotetico paese dell'Amazzonia centrale, autoctono, isolato dal resto del mondo, composto da 1000 persone che convivono da millenni con i loro valori e le loro tradizioni, regalo ad una persona un dollaro, creo automaticamente un ricco e 999 poveri. Questa è la sensazione costante che ho anche avuto durante tutto il mio viaggio nel cuore della Tanzania nel Febbraio 2009.

Ma torniamo a noi

Adriano Celentano imperversava nei Juke Box e nelle televisioni, la carezza nel pugno ed i ventiquattromila baci facevano scopa con la grande Inter di Mazzola ed il Milan di Gianni Rivera, ma il vero tifoso viola, per i motivi dichiarati all'inizio, era per Don Backy.

Al tempo era nelle prime pagine dei giornali la polemica nata nel Clan, la casa discografica per la quale incidevano artisti di primo grido quali appunto Celentano e Don Backy, ma anche Riky Gianco e Gino Santercole. Ma alla vigilia del Sanremo 1968 scoppiò la polemica che portò all’insanabile rottura dei rapporti tra i due artisti. Don Backy, dopo aver scritto per Celentano canzoni dello spessore di “Pregherò” ed altri, e dopo aver avuto nel ’67 uno strepitoso successo con “Poesia” e “l’immensità”,accusò il Clan di avergli 'sottratto' dischi per centinaia di migliaia di copie, dichiarando cifre di vendita decisamente inferiori a quelle reali. Celentano lo punì togliendogli ”Canzone” - brano in odore di vittoria - che Don Backy avrebbe dovuto cantare a Sanremo in coppia con Milva, e se ne appropriò. Don Backy lasciò il Clan e fondò immediatamente la sua etichetta Amico, titolo del suo primo successo e modo per rimarcare la parola amicizia - secondo Don Backy - calpestata da Celentano. Come dire, Celentano è la Juve e Don Backy la Fiorentina, di cui peraltro è dichiaratamente tifoso.

Grande tensione a Firenze in quel periodo. Superati i difficili anni del dopo alluvione del ’66 grazie agli Angeli del fango ed alla nascita dell’embrione della Protezione Civile, nel 1969, la Fiorentina era stata per la seconda ed ultima volta, Campione d’Italia ! Ricordo le strade e i palazzi pieni di festoni viola. La Fiorentina, sotto la guida del Petisso (al secolo Bruno Pesaola) aveva vinto lo scudetto, il secondo. Forse Pesaola è l’unico campione d’Italia che non è rimasto impresso nei cuori dei fiorentini e non mi so spiegare perché. Superchi Rogora Mancin, Esposito Ferrante Brizi, Chiarugi Merlo Maraschi, De Sisti Amarildo. E chi se li dimentica più? Molto spesso il pomeriggio ai campini attigui allo stadio o dentro lo stadio stesso andavamo a vedere gli allenamenti di Cavallo pazzo (Chiarugi), di Ciccillo (Esposito) e di Sicurezza (Brizi) c’erano stormi di ragazzi, ed i giocatori si trattenevano con noi all’uscita e ci riempivano di autografi. A dieci anni ero ancora piccolo e non avevo la consapevolezza del momento unico che stavo vivendo. Unico purtroppo perché non si è più ripetuto. E’ successo di tutto, ma lo scudetto no. Sto ancora vivendo a quaranta anni di distanza su quella gloria lì, quella gloria che ancora non capivo, e che negli anni ho cercato di costruire selezionando i ricordi, di metabolizzare, fino a scrivere su queste righe, di quei momenti vissuti nell’incoscienza : “io c’ero”.

Quando l’estate andavamo a Palazzuolo su Senio nel mese di Agosto, in “Villeggiatura”, (il mare l’ho conosciuto molto tardi) eravamo ospiti preso la casa del signor Duilio che con la moglie Rina ed i figli Oscar e Tiziana, formavano un nucleo familiare esattamente speculare al nostro anche in senso anagrafico. C’era però una differenza sostanziale ed enorme. Mentre il Signor Duilio era tifoso Viola di quelli “Primo Scudetto”, il figlio, Oscar, uno dei miei più cari amici, era Juventino. Ci picchiavamo molto spesso per questo motivo, ma proprio forse grazie a questo confronto abbiamo tutti e due imparato ad accettare le differenze. Però ci picchiavamo lo stesso.
Lui con la sua Juve vinceva sempre, ed io mai. Ma io ero di Firenze, e lui non era di Torino, e poi a Torino c’è il Torino. Perché rubava la squadra di un altro posto? Palazzuolo era più vicino a Firenze che a Torino, e lui era della Juventus. Questo non l’ho mai capito, neanche oggi. Però capisco che quello che mi faceva veramente rabbia era la deduzione inconscia che allora il tifo viola è PER la Fiorentina, mentre il tifo Bianconero in Toscana è un tifo “CONTRO” la Fiorentina. La differenza fra fare una cosa PER e fare una cosa CONTRO; il bene il male, il positivo ed il negativo. Altra spiegazione non sono mai riuscito a darmela. Oscar adesso ha una pizzeria a Palazzuolo, è un carissimo amico e quando posso vado da lui, non ci picchiamo, ma quando si tocca il tasto del calcio è sempre dura. Ah, dimenticavo: fa la pizza più buona del mondo.
Fu dopo il secondo scudetto 68/69 che iniziai la collezione delle figurine Panini. A causa della miseria persistente gli stratagemmi per arrivare alla bustina erano innumerevoli, dai vari giochi del muretto, allo scambio serrato e contrattato con i compagni: “celo, celo, celo….manchise!”. Mai finito un album, ma sono orgoglioso di dire che non ho mai fatto la collezione figurine calciatori della EDIS, quella con le figure intere dei calciatori e troppo facile da finire.

Nelle Panini Facchetti era veramente introvabile, mentre imperversava Greatti. Iniziò così il campionato 69/70. La prima partita del Campionato dopo lo scudetto fu in casa con il Cagliari, e fu anche la mia prima partita allo stadio. Venne da Palazzuolo il signor Duilio a vedere la sua Fiorentina. Perdemmo uno a zero su rigore di Gigi Riva, arbitro Concetto Lo Bello. Per tutta la partita lo stadio intonò lo slogan “Arbitro becco”. Io, ingenuo, vivevo tale ingiustizia come il Conte di Montecristo, inconsapevole che tutto questo fa parte del gioco. Ero certo di aver subito un torto colossale, e dopo la partita, camminando verso casa, vidi una signora con in spalla la bandiera del Cagliari. Mi scagliai come una furia sulla signora e, aggrappatomi alla bandiera, cominciai ad urlarle : “La maiala di to ma’ (tua madre)”, ripetendo la frase diverse volte. La signora rimase interdetta, e mio padre, che ha sempre avuto molta pazienza con me, le porse gentilmente le sue scuse. Il Cagliari quell’anno vinse lo scudetto. Albertosi Martiradonna Mancin Cera Greatti Niccolai Domenghini Nenè Gori Brugnera Riva. Sarà per questo motivo che diciotto anni dopo ho sposato una sarda? Quell’anno la Fiorentina, incapace di gestire una posizione di tanto prestigio nel panorama calcistico italiano, rischiò la retrocessione. Qualche anno dopo, allenatore Liedholm, esordì nella Fiorentina colui che ha determinato la mia adolescenza: Giancarlo Antognoni. Il ragazzo che gioca guardando le stelle; Il Centrocampista; Unico 10; Antonio. Una vita nella Fiorentina dal 72 all’87.
Ma questa è un'altra storia, forse la racconterò in seguito.

venerdì 10 dicembre 2010

PENSIERO EVOLUTIVO

PENSIERO EVOLUTIVO


Se noi umani ci evolviamo, lo facciamo solo in virtù di quello che siamo costretti o decidiamo di essere o di fare, ma mai per quel che siamo già!
Se proviamo a vedere le cose da questo punto di vista scopriamo allora che la realtà è rappresentata dai nostri sogni. Ma non sono proprio i sogni, l'orientamento della nostra determinazione?
Sono quindi proprio i sogni che determinano quali sono le nostre azioni presenti in funzione del futuro.
Se i sogni sono nobili anche le azioni saranno tali
E le nobili azioni presenti non sono forse le nostre virtù?


Come dice W.Shakespeare

“Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.”




mercoledì 8 dicembre 2010

FIRENZE MARATHON 2010

All'amico Andrea Bond


Marco Gensini 22 novembre alle ore 21.58
Come va mi ha detto max che ti sei fatto male al ginocchio. Ma come?
Adesso però vorrei incoraggiarti, e dato che sono in vena di scrivere e ti dedico queste dieci righe:

"Io ti voglio lì ad aspettarmi alla mezza,
con quella tua tipica fascia sulla testa e la calzamaglia da gay pride,
pronto a raccogliermi ed accompagnarmi in silenzio, 
col solo rumore delle scarpe che scuotono il selciato,
nell'abisso della sofferenza da cui poi spunta la luce,
nello stagno melmoso da cui emerge il puro e bianco fiore di loto,
nell'inverno che poi si trasforma sempre in primavera,
nell'ultima curva in Piazza Santa Croce da cui si vede il traguardo della Maratona di Firenze.
E quando dopo la morte si rinasce,
rinasce la consapevolezza della vita che si manifesta in gioia,
il mondo in bianco e nero degli ultimi dieci chilometri 
si ricolora pian piano con toni sempre più vivi,
cedono le membra mentre scendono lacrime salate più fredde delle guance stesse.
Nel momento in cui qualcuno ti mette una medaglia al collo 
e un altro ti copre le spalle col mantello di stagnola, 
si condensa tutto il lavoro fatto, 
e nasce un profondo senso di gratitudine verso chi ti ha sostenuto, 
chi ti ha capito e ti ha fatto sentire importante.
Volevo soltanto arrivare lì, e lì, in quel momento sono insieme a me tutte le persone che amo."

CASTELLO FIRENZE IN BICICLETTA

Con la strage di Lamezia Terme è tornato prepotentemente alla ribalta il problema della sicurezza dei ciclisti sulle strade. Io ho postato sul sito di repubblica.it il seguente commento:


CASTELLO - CENTRO in bici: Provare per credere

Da Castello alla rampa del romito, per circa 6 km si viaggia sulla direttrice medievale di via R.Giuliani - P.Dalmazia - VIa Corridoni - Piazza Tanucci - Via del Romito, combattendo nello spazio angusto con motorini, auto, camion militari e non, e soprattutto autobus, compresi quelli della SITA che al romito ha anche il deposito. 
Fatta la salitina del Romito, dove i mezzi pesanti rendono l'aria stile MIlano anni 60, si percorre la rampa spadolini, dove gli unici dieci metri lasciati a pavè sono quelli in curva dove si annoverano centinaia di cadute da bici e da moto fina dall'antichità,  e finalmente ci immettiamo, tagliando la carreggiata in velocità, nella pista ciclabile intorno alla fortezza, fino a che non troviamo la meravigliosa piazza antistante la fortezza, mi pare Piazza Bambini di Beslan.
Che fosse una tragedia l'avevamo capito da tempo, ben prima che decidessero di darle questo triste nome. 
DI questa piazza vorrei conoscere l'architetto che ha pensato quel sistema di pavimentazione a canale, oramai distrutte,  che mette a dura prova la ghiandola prostatica, per non parlare poi quando è in corso qualche allestimento di pitti-qualcosa per cui si rischia di essere letteralmente stiacciati dai camion degli allestitori stessi , che non vanno propriamente per il sottile. 
A questo punto resta soltanto da attraversare il by pass preferenziale dove oramai però, con la pedonalizzazione di Piazza Duomo, passano tutti quelli che vengono da Piazza Stazione, che provenendo da via Faenza, sono stressati e la percorrono a velocità stratosferiche.
A questo punto bene o male sei in zona, sei arrivato . 

Se poi, non volendo fare il romito si decide per lo Statuto, vi sfido a trovare un varco per passare da via dello Statuto al viale Spartaco Lavagnini senza rischiare di essere uccisi. 
Bisogna scendere dalla bici e fare 5 semafori pedonali in sequenza (nel senso che uno diventa verde quando l'altro è rosso), che per fare 200m ti fanno impiegare più di 5 minuti. Forse ai tempi dell'"Ovonda" un sottopassaggino pedonale pensato dallo stesso architetto di Beslan, forse ci costava anche il giusto.
Se penso poi che tutto il percorso da castello che ho descritto passa accanto alla ferrovia, lungo la quale basterebbe ricavare un corridoio di 1metro e mezzo, anche senza tanti fronzoli.....quanta gente prenderebbe la bici?
Citando Manzoni:
Fu vera gloria?
Ai posteri l'ardua sentenza