Io, Coverciano, la Fiorentina.
Io, tifoso viola ho sempre con me e mi accompagna, quella sensazione, quel retrogusto di non essere uguale ai tifosi delle altre squadre.
Ho dentro di me quella strana sensazione di avere una specie di peccato originale.
Non credo che tifosi viola si nasca, ma sicuramente a Firenze si nasce. Quando si nasce a Firenze si respira fin da piccoli la Fiorentina.
Lo si fa attraverso una rete mediatica diffusa che parte dagli uomini nei bar, attraverso le donne al supermercato che parlano, attraverso i trippai, gli ortolani, i falegnami nelle botteghe, per finire nelle scuole.
Riflettendo sul fenomeno, sono riuscito ad individuare due motivi fondamentali.
Il primo è che in una società conforme e conformista, dove ogni cosa mal si adatta a persone di diverso sesso e diversa età, la Fiorentina fa sentire vicini nonni, nipoti, genitori e parenti.
E’ un tavolo comune di dialogo e identità tra generazioni; “da quando io ero ancora giovane” tutto è cambiato, ma Lei no. Lei è sempre lì e nei nostri cuori.
Ed è meraviglioso vedere coppie di anziani allo stadio tutti vestiti di viola che ad un goal segnato dalla Squadra abbracciano uno sconosciuto accanto a loro che ha cinquant’anni di meno, o zie con le nipoti con tanto di abbonamento in curva Fiesole.
La seconda è la seguente. Credo che il tifo viola sia uno dei pochi punti di riferimento per noi fiorentni. La città, e non solo il centro storico, non ci appartengono più da anni, essi appartengono a tutto il mondo. Possiamo passeggiare nel quadrilatero Romano per ore senza sentire una “Maremma Maiala”. Ci possiamo vantare di Firenze, delle sue bellezze, ma non è più nostra. Forse l’unico posto di Firenze dove possiamo trovarci tutti Fiorentini è lo stadio. Tutti lì, a dimostrare che oltre ai monumenti esiste anche una fiorentinità, la stessa che ha abolito per prima nel mondo la pena di morte, la stessa che ha ispirato il sommo poeta a scrivere la Commedia, la stessa che ha mosso i grandi viaggiatori che hanno dato nome alla America (da Amerigo Vespucci), e quella che ha dato vita al Rinascimento, allo sviluppo dell’uomo ed alla sua libertà.
Girolamo Savonarola, il frate padovano benedettino che tanto si oppose alla libertà dei costumi nella Firenze che portava il suo novello messaggio al mondo, alla fine fu messo al rogo in Piazza della Signoria. Deprecabile gesto, per carità, niente al mondo potrà mai giustificare tale reazione, ma da un altro punto di vista forse un motivo più profondo ci sarà sicuramente.
Io sono nato a Firenze, e per la precisione a Ponte alla Badia, sul Mugnone in fondo alla via Roccettini ed in fondo alla Via Salviati nel 1959. Dopo qualche mese c’è stato il trasferimento a a Coverciano che io non ricordo. Ricordo però che durante il boom demografico ed economico, nell’abbandono delle campagne e nell’affollamento delle nuove periferie, chi non andava ad abitare in un comdominio era un po’ “bischero” . Tutt’oggi, che abito da vent’anni quasi a Sesto Fiorentino, a chi mi chiede di dove sono, rispondo “di Coverciano”. Dalla finesta della mia camera all’ultimo piano ho sempre visto, le bellissime colline di Fiesole e di Settignano, il monte Ceceri da dove il genio di Leonardo tentò il volo, e la collina di Montebeni che si degrada fino alla Rocca Tedalda sull’Arno Dall’altra parte, tutta sulla sinistra, un po’ defilata, la Torre di Maratona. I pomeriggi passati davanti ai quaderni macchiati di inchiostro a leggere per ore sul libro di testo la stessa riga con il pensiero lontano. Il sole al tramonto sembra dirmi: “Oggi c’è la bandiera sulla torre di Maratona, si gioca in casa”.
Dopo poco, equidistante da casa mia, sotto la collina di Settignano, il Centro tecnico Federale di Coverciano. Bellissimo, Impenetrabile.
Noi, anni 60, ragazzi di periferia, fuori a giocare sui sassi, e là dentro il paradiso. La dentro si sarebbe allenata la Nazionale Italiana. Mai una concessione fu fatta a noi popolo ospitante il futuro tempio del calcio, mai ci fu permesso di vedere, di visitare. Tutto chiuso, tutto impossibile.
Ma un giorno d’estate, in vacanza, buttati senza scopo per le strade polverose senza far niente, durante un giro che non ricordo bene, un buco nella rete lo trovammo. Fu così che ci organizzammo per il pomeriggio: Pallone , acqua etc.
Appena entrati nella rete, si aprì davanti a noi un meraviglioso campo di moquette verde (nel ‘70!), e poi, più in là tanti campi bellissimi in erba, piscine, tennis….., un sogno. Palla al centro, silenzio e partita. Ricordo bene il solo rumore del fiatone e dei calci al pallone, e non una parola per non farsi sentire. Il sogno fu puntualmente interrotto dal guardiano che urlando ci rincorse brandendo qualcosa con la mano che non ricordo. Rapidamente , anzi istantaneamente, con il cuore in gola e tanta paura, dovemmo abbandonare l’incursione.
Rivendico con orgoglio che io, anche se solo un quarto d’ora, sul campo di moquette ci ho giocato.
La prima cosa che mi viene in mente guardando ovviamente da fuori il Centro Tecnico di Coverciano, è con improbabile lucidità il ricordo di Mexico 70, la preparazione ed il ritiro. Un’aria magica, la caccia agli autografi di Gigi Riva, Domenghini, Albertosi, De Sisti, Rivera e Mazzola; spiavamo i nostri campioni, facevamo una caccia spietata agli autografi peraltro quasi impossibili da ottenere. In quei giorni c’era grande fermento a Coverciano, mio cugino si era comprato il motorino da cross ed anche gli accessi al centro erano diventati possibili in certi momenti. Si respirava un’aria magica per noi ragazzi di periferia ed io figlio di operaio tipografo capofamiglia con sei persone a carico vivevo l’illusione di quel mondo. C’era questo divario a Coverciano, e lo si sentiva, ci ha formato, ci siamo cresciuti consapevoli di essere la parte povera di quella società. Con il tempo questa cosa si è sempre più radicata: da una parte il mondo del calcio, con i suoi sfarzi, con le sue esagerazioni, con gli sciacalli e con gli imprenditori che edificavano laddove c'era danaro, dall’altra le case popolari di via Domenico Maria Manni ed il quartiere operaio. I danni maggiori si sono avuti dai contatti tra questi due mondi, e parlo con il nodo alla gola di ragazzi che hanno perso l’occasione di cogliere il fiore dei propri anni migliori. Loro non lo sapevano gestire il mondo dei ricchi, loro non dovevano credere aquella illusione, non erano stati formati dall anascita come gli altri.
L'avvento dei ricchi a Coverciano portò pochissimi vantaggi all'economia degli abitanti, perchè loro si portarono dietro il loro indotto, peraltro già ricco. Credo sia in tempi e modi diversi quello che succede nella Costa Smeralda in Sardegna.
Quando ho potuto scegliere, ho scelto di andare via da Coverciano, ed altri ragazzi come me lo hanno fatto. Tutti invidiano chi abita a Coverciano, ma io no, io so e sono altrettanto sicuro che se per caso ne usciranno illesi, sicuramente se ne andranno.
Se io, in un ipotetico paese dell'Amazzonia centrale, autoctono, isolato dal resto del mondo, composto da 1000 persone che convivono da millenni con i loro valori e le loro tradizioni, regalo ad una persona un dollaro, creo automaticamente un ricco e 999 poveri. Questa è la sensazione costante che ho anche avuto durante tutto il mio viaggio nel cuore della Tanzania nel Febbraio 2009.
Ma torniamo a noi
Adriano Celentano imperversava nei Juke Box e nelle televisioni, la carezza nel pugno ed i ventiquattromila baci facevano scopa con la grande Inter di Mazzola ed il Milan di Gianni Rivera, ma il vero tifoso viola, per i motivi dichiarati all'inizio, era per Don Backy.
Al tempo era nelle prime pagine dei giornali la polemica nata nel Clan, la casa discografica per la quale incidevano artisti di primo grido quali appunto Celentano e Don Backy, ma anche Riky Gianco e Gino Santercole. Ma alla vigilia del Sanremo 1968 scoppiò la polemica che portò all’insanabile rottura dei rapporti tra i due artisti. Don Backy, dopo aver scritto per Celentano canzoni dello spessore di “Pregherò” ed altri, e dopo aver avuto nel ’67 uno strepitoso successo con “Poesia” e “l’immensità”,accusò il Clan di avergli 'sottratto' dischi per centinaia di migliaia di copie, dichiarando cifre di vendita decisamente inferiori a quelle reali. Celentano lo punì togliendogli ”Canzone” - brano in odore di vittoria - che Don Backy avrebbe dovuto cantare a Sanremo in coppia con Milva, e se ne appropriò. Don Backy lasciò il Clan e fondò immediatamente la sua etichetta Amico, titolo del suo primo successo e modo per rimarcare la parola amicizia - secondo Don Backy - calpestata da Celentano. Come dire, Celentano è la Juve e Don Backy la Fiorentina, di cui peraltro è dichiaratamente tifoso.
Grande tensione a Firenze in quel periodo. Superati i difficili anni del dopo alluvione del ’66 grazie agli Angeli del fango ed alla nascita dell’embrione della Protezione Civile, nel 1969, la Fiorentina era stata per la seconda ed ultima volta, Campione d’Italia ! Ricordo le strade e i palazzi pieni di festoni viola. La Fiorentina, sotto la guida del Petisso (al secolo Bruno Pesaola) aveva vinto lo scudetto, il secondo. Forse Pesaola è l’unico campione d’Italia che non è rimasto impresso nei cuori dei fiorentini e non mi so spiegare perché. Superchi Rogora Mancin, Esposito Ferrante Brizi, Chiarugi Merlo Maraschi, De Sisti Amarildo. E chi se li dimentica più? Molto spesso il pomeriggio ai campini attigui allo stadio o dentro lo stadio stesso andavamo a vedere gli allenamenti di Cavallo pazzo (Chiarugi), di Ciccillo (Esposito) e di Sicurezza (Brizi) c’erano stormi di ragazzi, ed i giocatori si trattenevano con noi all’uscita e ci riempivano di autografi. A dieci anni ero ancora piccolo e non avevo la consapevolezza del momento unico che stavo vivendo. Unico purtroppo perché non si è più ripetuto. E’ successo di tutto, ma lo scudetto no. Sto ancora vivendo a quaranta anni di distanza su quella gloria lì, quella gloria che ancora non capivo, e che negli anni ho cercato di costruire selezionando i ricordi, di metabolizzare, fino a scrivere su queste righe, di quei momenti vissuti nell’incoscienza : “io c’ero”.
Quando l’estate andavamo a Palazzuolo su Senio nel mese di Agosto, in “Villeggiatura”, (il mare l’ho conosciuto molto tardi) eravamo ospiti preso la casa del signor Duilio che con la moglie Rina ed i figli Oscar e Tiziana, formavano un nucleo familiare esattamente speculare al nostro anche in senso anagrafico. C’era però una differenza sostanziale ed enorme. Mentre il Signor Duilio era tifoso Viola di quelli “Primo Scudetto”, il figlio, Oscar, uno dei miei più cari amici, era Juventino. Ci picchiavamo molto spesso per questo motivo, ma proprio forse grazie a questo confronto abbiamo tutti e due imparato ad accettare le differenze. Però ci picchiavamo lo stesso.
Lui con la sua Juve vinceva sempre, ed io mai. Ma io ero di Firenze, e lui non era di Torino, e poi a Torino c’è il Torino. Perché rubava la squadra di un altro posto? Palazzuolo era più vicino a Firenze che a Torino, e lui era della Juventus. Questo non l’ho mai capito, neanche oggi. Però capisco che quello che mi faceva veramente rabbia era la deduzione inconscia che allora il tifo viola è PER la Fiorentina, mentre il tifo Bianconero in Toscana è un tifo “CONTRO” la Fiorentina. La differenza fra fare una cosa PER e fare una cosa CONTRO; il bene il male, il positivo ed il negativo. Altra spiegazione non sono mai riuscito a darmela. Oscar adesso ha una pizzeria a Palazzuolo, è un carissimo amico e quando posso vado da lui, non ci picchiamo, ma quando si tocca il tasto del calcio è sempre dura. Ah, dimenticavo: fa la pizza più buona del mondo.
Fu dopo il secondo scudetto 68/69 che iniziai la collezione delle figurine Panini. A causa della miseria persistente gli stratagemmi per arrivare alla bustina erano innumerevoli, dai vari giochi del muretto, allo scambio serrato e contrattato con i compagni: “celo, celo, celo….manchise!”. Mai finito un album, ma sono orgoglioso di dire che non ho mai fatto la collezione figurine calciatori della EDIS, quella con le figure intere dei calciatori e troppo facile da finire.
Nelle Panini Facchetti era veramente introvabile, mentre imperversava Greatti. Iniziò così il campionato 69/70. La prima partita del Campionato dopo lo scudetto fu in casa con il Cagliari, e fu anche la mia prima partita allo stadio. Venne da Palazzuolo il signor Duilio a vedere la sua Fiorentina. Perdemmo uno a zero su rigore di Gigi Riva, arbitro Concetto Lo Bello. Per tutta la partita lo stadio intonò lo slogan “Arbitro becco”. Io, ingenuo, vivevo tale ingiustizia come il Conte di Montecristo, inconsapevole che tutto questo fa parte del gioco. Ero certo di aver subito un torto colossale, e dopo la partita, camminando verso casa, vidi una signora con in spalla la bandiera del Cagliari. Mi scagliai come una furia sulla signora e, aggrappatomi alla bandiera, cominciai ad urlarle : “La maiala di to ma’ (tua madre)”, ripetendo la frase diverse volte. La signora rimase interdetta, e mio padre, che ha sempre avuto molta pazienza con me, le porse gentilmente le sue scuse. Il Cagliari quell’anno vinse lo scudetto. Albertosi Martiradonna Mancin Cera Greatti Niccolai Domenghini Nenè Gori Brugnera Riva. Sarà per questo motivo che diciotto anni dopo ho sposato una sarda? Quell’anno la Fiorentina, incapace di gestire una posizione di tanto prestigio nel panorama calcistico italiano, rischiò la retrocessione. Qualche anno dopo, allenatore Liedholm, esordì nella Fiorentina colui che ha determinato la mia adolescenza: Giancarlo Antognoni. Il ragazzo che gioca guardando le stelle; Il Centrocampista; Unico 10; Antonio. Una vita nella Fiorentina dal 72 all’87.
Ma questa è un'altra storia, forse la racconterò in seguito.
Accidenti che viaggio! complimenti
RispondiEliminaMa tutto 'sto calcio?
Via mettilo un avatarino o una fotina...
Stefano